Il Triduo Pasquale

Gli inizi

Fin dalle origini i discepoli di Gesù, convertiti dalla predicazione apostolica, si riunivano nelle loro case per «spezzare il pane» facendo memoria del Signore che, la vigilia della sua passione, aveva comandato loro di ripetere il suo gesto. La loro assemblea, che aveva luogo solitamente la sera e spesso si prolungava fino a tarda notte, si teneva regolarmente nel «primo giorno della settimana». L’espressione rimanda al «primo giorno» in cui Gesù Cristo è risorto dai morti ed è apparso ai suoi. Molto presto diventerà il «giorno di festa primordiale», nucleo originario dell’anno liturgico.

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Domenica nella Passione del Signore

Il Vangelo di Marco è stato definito «un racconto della passione con una lunga introduzione»: infatti tutto il vangelo converge nel racconto della passione che diventa la presentazione più eloquente della persona e della missione di Gesù. La sua morte non è frutto del caso o di un capriccio umano, è prima di tutto conseguenza di una missione messianica: egli muore a causa del modo in cui è vissuto. Gesù ha vissuto e ha predicato il Regno di Dio, vale a dire la prossimità di Dio all’uomo, specialmente peccatore e segnato dal limite. Questo suo messaggio e ancor di più il suo agire, pensiamo Gesù seduto a mensa con i pubblicani e peccatori, ha urtato contro l’opposizione e il rifiuto.

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Comprensione e incomprensione di Gesù

La parabola del seminatore del Vangelo di Matteo (Mat 13,1-21) introduce ai «misteri» o «segreti» del Regno dei Cieli. Il discorso parabolico paragona il Regno di Dio a un seme o all’atto di seminare e con ciò ci rimanda al suo carattere nascosto che evoca interrogativi: perché la parola di Dio non trova unanime e pronta accoglienza? Come mai è ci si imbatte nell’indifferenza? Perché alcuni comprendono e altri no? La rivelazione di Dio non dovrebbe essere chiara a tutti? Dove sta l’efficacia dell’annuncio?

Una prima risposta sta nella antitesi che sviluppa l’evangelista tra folla e discepoli: le parabole sono per le folle, ma la loro spiegazione è riservata unicamente ai discepoli. Il motivo della differenza è che la conoscenza data ai discepoli non è elargita ad altri. Dice bene il testo: «A voi è dato conoscere…» (v. 11). Dove il soggetto agente è Dio.

Dio fa quindi discriminazioni? Certamente no! È la constatazione che la diversa situazione degli uni e degli altri in rapporto con Gesù, marca la differenza della conoscenze e dell’esperienza del regno di Dio. I discepoli, avendo scelto di seguire Gesù, hanno la chiave interpretativa del suo insegnamento e della sua attività. Le folle invece restano lontane da Gesù, hanno informazioni su di Lui ma non si sono decise per lui. Le folle saranno, infatti, quelle che contribuiranno alla sua condanna.

Comprendere il Regno e la persona di Gesù non è solo questione di raccolta e sistemazione raziocinante di informazioni: si tratta di operare invece una scelta per Lui, vale a dire seguire Gesù in ciò che dice e in ciò che fa! L’adesione al mistero della vita di Gesù determina la progressiva conoscenza della vita e dell’agire di Gesù e del Regno di Dio.

Le folle testimoniano, invece, un interessamento superficiale a Gesù. Hanno molte informazioni su di lui, come molti di noi oggi, ma non aderiscono alla sua persona: per questo non comprendono.

«Misericordia io voglio». A margine della chiamata di Matteo

Matteo 9,9-13

«Andate a imparate cosa vuol dire: “misericordia io voglio e non sacrifici”». Questo detto di Gesù, ripreso dal profeta Osea e rivolto a noi lettori, diventa uno stimolo a assumere lo stile del Signore. Il modello è Matteo, pubblicano – l’escluso del tempo – intristito dentro la gabbia d’oro che le sue mani avevano creato. L’evangelista lo ritrae seduto «dietro», come dietro a delle sbarre, al banco delle imposte.

Qui inaspettatamente viene raggiunto dalla parola del Signore. Non sono discorsi sulla sua condotta morale, sulla sua scelta collaborazionista con il potere oppressivo di Roma. Nulla di tutto ciò! Una parola soltanto che diventa ordine: «Seguimi!». Così Gesù aveva fatto con gli altri discepoli.

Quest’ordine mette in moto la vita di Matteo: «Si alzò e lo seguì». Difficile cogliere in così poche parole la portata del cambiamento. Ma fu vero e profondo cambiamento! Il testo greco usa il verbo anastàs da anístēmi, lo stesso verbo per dire «la risurrezione» di Gesù. Ecco la radicalità del cambiamento di Matteo: e, risuscitato, lo seguì o lo seguì come risorto.

Gesù, a dispetto dei farisei che accuseranno lui e il pubblicano, non giudica, non pretende che il peccatore faccia prima un congrua penitenza per essere ammesso nella comunità dei salvati, gli dona subito tutto se stesso e segno è il fermarsi a casa di Matteo a banchettare con lui e con altri della sua cricca. Gesù prima lo chiama tra i suoi e poi esigerà cambiamento di vita e coerenza con il vangelo. Matteo non farà più quello che faceva un tempo. La tradizione della Chiesa, che lo presenta come un evangelista, lo sta a dimostrare. Dio, il Dio di Gesù, è prima misericordia e poi esigenza. La sua misericordia precede ogni azione/reazione umana.

Tutto ciò ci svela qualcosa di cosa significhi «misericordia voglio». La misericordia divina non è semplicemente e solamente il perdono concesso dopo un’offesa, ma la decisione di andare per primo incontro all’altro «sempre», facendosi carico di tutta la sua vita. Matteo a Gesù non aveva fatto alcun torto, eppure Gesù gli va incontro per primo, gli parla, lo invita tra i suoi facendosi carico per sempre della sua esclusione sociale. È da lui che entra per banchettare: a compiere un gesto di comunione che poco oltre, nel vangelo dell’istituzione dell’eucaristia, diventerà il segno dello stare di Gesù per sempre con gli uomini.